Sinossi:
L’eroe di questa “storia mediocre” arriva a Milano all’inizio degli anni Sessanta col preciso intento di far saltare in aria un grattacielo, simbolo del potere e di un boom economico fasullo. Ma alla fine la metropoli lo imbriglierà attraverso un inevitabile processo di assimilazione e omologazione.
Concepito in occasione del centenario della nascita di Luciano Bianciardi, Lo sboom è un monologo divertente e amaro al tempo stesso tratto dal suo romanzo autobiografico La vita agra. Attraverso le vicende del protagonista emergono tutti i variopinti contrasti delle speranze del secondo dopoguerra, dalla protervia dei padroni e dei loro tirapiedi all’esercito anonimo delle dattilografe, spina dorsale dell’economia, dai “tafanatori” di professione che non ti lasciano in pace nemmeno da morto all’ipocrisia delle relazioni extraconiugali. Con una formidabile preveggenza, Bianciardi sembra descrivere l’Italia di oggi con sessant’anni d’anticipo: un paese che perde i pezzi, dove il lavoro e i rapporti umani sono disumanizzati e il modello di sviluppo in cui tutti inseguono i bisogni contiene il germe dell’autodistruzione. A cadenzare la narrazione, a metà tra il monologo teatrale e il cabaret, una colonna sonora rigorosamente dal vivo composta da brani di cantautori italiani, tra cui spicca il nome di Enzo Jannacci, cantore della Milano dei perdenti e di cui lo stesso Bianciardi tenne a battesimo gli esordi.